Consulenza
nutrizionale per sportivi
Anamesi ed esame obiettivo: come si svolge la consulenza nutrizionale
Sono in molti i clienti che prima di fissare un appuntamento chiedono, a ragione, quali sono gli strumenti operativi che utilizzo per migliorare o per rieducare la loro alimentazione e lo stile di vita. Direi che è fondamentale porre l’accento – non necessariamente in ordine di importanza – sulle modalità della visita, sull’impostazione alimentare innovativa, sull’analisi della composizione corporea, sull’avviamento (se non si tratta di una persona sportiva) al movimento fisico, sull’approccio psicologico generale, sull’integrazione, sull’eventuale rimodulazione, insieme al consiglio del proprio medico, di farmaci dannosi.
Ciò che è forse più importante è che il cliente lasci la visita avendo compreso che la conquista della salute è un processo attivo, che può e deve gestire direttamente. Salute e malattia vanno dunque viste con occhi nuovi. Come mi capita spesso di dire a qualche cliente recalcitrante nel modificare le cattive abitudini: “Il suo stato odierno è conseguenza del suo attuale stile di vita. Se vuole cambiare qualcosa nella sua salute o nel suo peso, deve cambiare ciò che l’ha portata fin qui. Io sono qui per aiutarla, con gradualità e nel rispetto della sua individualità, ma ho bisogno della sua collaborazione attiva, in assenza della quale, se non vi sarà motivazione al cambiamento, il successo sarà impossibile.”
È importate far capire che essere aiutati non vuol dire demandare completamente a un terzo il comando della situazione. Devono essere comprese e interiorizzate le nuove regole, con un contributo esterno, ma poi queste regole devono essere fatte proprie e stabilmente inserite nel nuovo stile di vita che nascerà dall’incontro tra una competenza nutrizionale/naturopatica e un bisogno di cambiamento. Cambiare si può, ma il cambiamento vero richiede volontà ed energia. Poiché l’energia stessa a disposizione è nutrita da un corretto stile di vita, occorre pian piano innescare il circolo virtuoso che genera il cambiamento. Più energia ci dà la forza di cambiare. Più cambiamo, più la nuova alimentazione ci dà energia. Insieme, con pazienza, si può percorrere molta strada.
La visita:
prima di tutto l'anamnesi
Forse ciò che più caratterizza il mio approccio col cliente è la modalità con cui si svolge la visita.
I modi frettolosi, l’ascolto distratto, i tempi brevi, l’ambiente rumoroso non sono compatibili con un reale e profondo dialogo tra me e il cliente: l’unico che può portare alla comprensione di un messaggio che richiede un forte cambiamento nello stile di vita e nelle abitudini personali.
Il colloquio incomincia con la mia presentazione: “Buongiorno, sono Francesca Mister...”. È fondamentale sorridere al cliente e mostrare un atteggiamento disponibile quando ci si presenta: è il primo concreto segnale di disponibilità e di collaborazione. Nel bellissimo romanzo Medicus di Noah Gordon, ambientato intorno all’XI secolo, il grande maestro persiano Ibn Sina insegna ai suoi studenti, ogni volta che si avvicinano al letto di un malato, dopo essersi presentati, a chiedere educatamente il permesso si poterlo curare. Forse un’esagerazione storica ma certo una grande lezione.
La prima fase della visita prevede innanzitutto l’ascolto del cliente. Non sempre le nostre priorità sono le sue. Noi magari siamo orientati a dare indicazioni per un riequilibrio intestinale, il cliente sta invece soffrendo (e sta chiedendo il nostro aiuto) per un protrarsi di una situazione in cui non riesce a perdere peso: solo un attento ascolto può indirizzare correttamente il mio operato.
È bene incominciare con alcuni dati anagrafici: nome e cognome, data e luogo di nascita, residenza, telefono/e-mail e infine professione. Ciascuno di questi dati può fornirmi preziose informazioni (un’età anagrafica diversa da quella apparente, la nascita in un Paese estero, una sede di lavoro lontana dalla residenza). Trovo che scambiare due parole sulla professione svolta dal cliente non solo mi fornisca indicazioni importanti (per esempio, un magazziniere si muoverà di più di un impiegato, mentre un agente di commercio dovrà mangiare sempre fuori casa), ma soprattutto mi permette di entrare per un attimo in confidenza con il cliente su un argomento non strettamente riguardante la salute e poi, eventualmente, di rivolgergli altre domande più delicate.
È doveroso annotare i punti più importanti del dialogo con il cliente, che possono tornare utili in fase di revisione, ed è anche importante lasciarlo parlare, senza interromperlo troppo spesso e non per gli opportuni chiarimenti.
In questa fase, che rappresenta l’anamnesi, è necessario acquisire informazioni preziose: le patologie pregresse o attuali, i farmaci assunti, eventuali allergie, gli esami del sangue disponibili (altri ne chiederò solo se necessari), la familiarità (malattie genetiche o predisposizioni). Indagheremo le abitudini più comuni riguardo ad alimentazione, fumo, alcol, sonno e movimento fisico.
Sull’alimentazione occorrerà essere molto minuziosi, ricordando che i clienti tendono spontaneamente a omettere gli “sgarri” e a descrivere, invece, pranzi ordinari comprendenti primo, secondo, contorno e frutta. Chi acquisti al supermercato le cassettine di gelato, i superalcolici e le confezioni da dodici di bibite zuccherate resta per me un mistero.
Entro dunque nel dettaglio, informandomi anche sull’abitudine a idratarsi correttamente e sulle eventuali sensazioni di fame fuori dei pasti.
Terminata la lunga fase anamnestica si passa alla visita vera e propria. Non è pensabile effettuare l’esame obiettivo senza prima aver completato una seria anamnesi, che dovrà indirizzare in modo efficace la nostra ricerca di segni corporei.
Il controllo della composizione corporea
Completato l’importantissimo esame obiettivo passo al controllo della composizione corporea tramite bioimpedenziometria. Ritengo che questo test, dalla durata di pochi minuti, è fondamentale per chiunque si occupi, a qualunque titolo, di nutrizione.
È impensabile, infatti, che ancora oggi nel monitorare i cambiamenti nella composizione corporea di un individuo ci si limiti a metodi primitivi come il semplice controllo del peso o del Body Mass Index (BMI), magari supportati dalla misurazione delle circonferenze vita/fianchi/cosce o dal vecchio plicometro (una pinza calibrata con la quale si cerca di misurare il grasso sottocute). Se il mio cliente costruisce massa muscolare, la sua circonferenza cosce probabilmente aumenterà. E sarà solo un vantaggio. Grazie a quel muscolo aggiunto il metabolismo ai alzerà e il grasso superfluo incomincerà a scendere. Con la plicometria (metodo che espone ad un errore operatore-dipendente) si riesce a misurare solo il grasso sottocutaneo, che non è indice affidabile del grasso corporeo poiché trascura completamente la consistenza del grasso viscerale. Inoltre dal dato ottenuto vengono dedotte in modo del tutto matematico (cioè non reale) le consistenze di idratazione e massa muscolare. Un errore comune anche a molti bioimpedenziometri di scarsa qualità. Con questi strumenti primitivi il nutrizionista rischia di perdere il dato reale di miglioramento della composizione corporea ottenuto con la dieta e il movimento e può anche fornire al cliente, senza volerlo, informazioni errate. Mai come in questo campo è importante la precisione del dato biologico.
Quando mi trovo ad analizzare per la prima volta la struttura fisica di un individuo, la mia esigenza è quella di quantificare con esattezza la sua composizione corporea in termini di massa muscolare, massa grassa e idratazione. Questo controllo particolarmente importante lo si ottiene con la bioimpedenziometria, un esame che sfrutta appunto l’impedenza per ottenere i dati biologici ricercati. Il primo requisito che va ricercato nel bioimpedenziometro è che sia affidabile. Se i dati sono dubbi e variano in modo consistente tra una pesata e l’altra o in pesate vicine, è chiaro che non se ne può fare un uso professionale (semmai solo di orientamento casalingo) dei dati ottenuti.
Il concetto della bioimpedenziometria origina dall’analisi della resistenza misurata tra due elettrodi posti a distanza nota sul corpo dell’individuo (di solito sulla mano e sul piede). Il valore della resistenza è funzione della quantità d’acqua incontrata sul percorso e dunque offre una prima informazione che permette di suddividere l’organismo esaminato in parte magra e (in base alla pesata effettuata, per differenza) parte grassa.
Questo tipo semplificato di bioimpedenziometria è detto “bicompartimentale” perché distingue due soli compartimenti corporei: grasso e non grasso. Poiché la parte non grassa è tuttavia costituita da muscolo (valore positivo) e acqua (valore potenzialmente negativo, se in eccesso), il test fornisce informazioni un po’ troppo semplificate. Le macchine o le bilance che funzionano in questo modo, infatti, applicano poi delle equazioni a mezzo delle quali “deducono” la quantità di muscolo e quella di acqua, ma in effetti è stato misurato solo il totale (acqua più muscolo), dunque il dato ottenuto sulla base di medie statistiche non è reale.
Ben diversa è la misurazione cosiddetta “tricompartimentale”, di cui mi avvalgo in studio. In questo caso, al dato sulla resistenza si aggiunge la misurazione della reattanza; quest’ultimo valore, essendo di tipo capacitivo, fornisce informazioni affidabili sul numero di cellule incontrate dalla corrente sul percorso tra un elettrodo e l’altro. Tale misurazione, molto precisa, è valida a livello internazionale e prevede margini di errore di circa 100 g sui valori misurati: il che vuol dire che se in un individuo misuro 40 kg di muscoli, possono essere 39,9 o 40,1 kg. Un dato di grande affidabilità.
Questo tipo di misurazione consente di valutare a livello “fotografico” la condizione muscolare, di grasso e di acqua della persona e dell’atleta al momento della misurazione. Dall’altro, mi permette di introdurre modifiche mirate a livello alimentare, personalizzate per il singolo, con la possibilità poi di monitorare i progressi in termini di riduzione di massa grassa, incremento di massa muscolare ed eventuale perdita di acqua di ritenzione idrica man mano che la persona adotta nuovi comportamenti alimentari. Ma oltre che per gli atleti, l’analisi della composizione corporea risulta particolarmente importante ogni qualvolta ci si proponga un intervento alimentare correttivo in un qualunque individuo. Come giudicare, infatti, un calo di peso di 2 kg o un analogo incremento senza sapere che cosa si è perso e cosa invece si è guadagnato? Credo che un gran numero di diete alla moda o commerciali, dal digiuno terapeutico o intermittente fino agli assurdi regimi iperproteici o chetogeni, si scioglierebbe come neve al sole se un’affidabile bioimpedenziometria indicasse con chiarezza che cosa si è perso e guadagnato.
L'analisi dei valori bioimpedenziometrici
Finalmente, terminata la lunga fase di raccolta informazioni con tutti gli strumenti a mia disposizione, incomincia la fase delle spiegazioni, che sarà ponderata in funzione delle esigenze del singolo cliente.
Vi sono tuttavia alcuni passi che è importante non trascurare e di solito il primo che affronto è la spiegazione dei valori riscontrati alla bioimpedenziometria. In pratica, confronto i valori rilevati nei tre compartimenti con altri valori da me ritenuti ottimali e con un minimo di calcolo definisco i potenziali punti d’arrivo dopo un completo riequilibrio.
Sono sicura che non è tempo sprecato, ma utile a definire concetti importanti. Il primo è far capire che a quei punti d’arrivo, seppur lentamente, ci si può arrivare. Non è un dato scontato. La maggior parte delle diete dichiara possibili perdite di peso in tempi brevi (per esempio 5 kg in tre settimane) ma la consuetudine è che poi, in un certo lasso di tempo, una volta smessa la dieta quel peso si riprende tutto. Se perdo 1,5 kg di grasso al mese (un’inerzia, a detta di molti) avrò perso 25 kg in meno di un anno e mezzo. E li avrò persi per sempre. Non sembra davvero una cattiva proiezione per chi riteneva di rimanere obeso una vita intera e di fatto, con i su e giù delle classiche diete ipocaloriche, ci sarebbe rimasto per sempre.
Il secondo concetto riguarda il fatto che mentre esistono valori ideali (o meglio range ideali) per la quantità di grasso e per il livello di idratazione, per il muscolo invece esistono solo valori minimi accettabili: tutto quello che viene in più è un ottimo segno di vitalità ipotalamica e di salute. Il corpo infatti si rifiuta di produrre nuovo muscolo se si trova in stato di denutrizione, di infiammazione, di intossicazione, di malattia in genere. Il fatto che vi sia abbondanza di massa muscolare, dunque, spesso è sinonimo di ottimo funzionamento degli assi ormonali coinvolti e alta spesa metabolica: un’eccellente base di partenza per chi voglia dimagrire stabilmente con successo.
Da queste considerazioni si evince che per un individuo non esiste un “peso ideale”. Infatti vi sarà sempre uno stato di composizione corporea che potrà essere migliorato aggiungendo 1 kg di muscolo in più. Si potrà dire: “Lei può utilmente perdere 7 kg di grasso e 2,5 litri di acqua di ritenzione”, ma sulla massa muscolare si potrà solo affermare: “E dovrà mettere su almeno 3 kg di massa muscolare”. E se arrivasse a 5 kg, ancora meglio.
È quindi evidente l’immenso valore del poter misurare separatamente le tre componenti di grasso, muscolo e acqua ai fini di impostare un adeguato regime dimagrante (o irrobustente). In assenza di una tale rilevazione, quando il cliente si presenterà al controllo con 2 kg di meno, come potremo valutare se sta o non sta applicando correttamente le regole? Se avesse perso 2 kg di muscolo, infatti il cliente non solo non sarebbe minimamente dimagrito ma avrebbe anche allontanato la possibilità di un futuro dimagrimento, avendo perso capacità metabolica.
Sembra tutto ovvio e ragionevole. Ma allora perché nell’ultimo mezzo secolo non si è fatto altro che parlare di “peso” in genere (senza distinguere tra grasso, muscolo e acqua), con l’esito scontato di far sembrare efficaci i regimi ipocalorici, che tutti sappiamo invece generare perdita di peso a carico prevalentemente della massa muscolare?
Il controllo della composizione corporea
Completata dunque la fase di spiegazione degli esiti della bioimpedenziometria, e riviste insieme le principali criticità emerse da anamnesi e controllo degli esami, si passa alla fase costruttiva dell’incontro. Qui, preso atto delle specifiche problematiche del cliente, spiego i concetti di un’alimentazione sana, naturale e varia e come applicarli alla specifica situazione fin qui emersa enfatizzando gli aspetti più rilevanti a livello individuale (per esempio il controllo degli zuccheri e delle farine raffinate, la riduzione degli alimenti ad alto contenuto di sale, il controllo dell’infiammazione da cibo).
Va inoltre impostata la quotidianità al movimento fisico, che prescrivo in modo preciso dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo. Abbozzare a fine visita un vago “Veda di fare anche un po’ di sport” è ridicolo. Il movimento quotidiano è d’obbligo.
La situazione personale del cliente dovrà essere scandagliata anche sul piano psicologico. Infatti, dovrà essere mentalmente pronto a cambiamenti importanti in pochi mesi, che non mancheranno di impattare su ogni aspetto della sua vita personale e di relazione.
Lo stimolo al cambiamento è uno dei punti forti del colloquio e se il cliente ne esce poco convinto, dubbioso, non disposto a rinunciare alle proprie abitudini, abbiamo già fallito prima ancora di incominciare. Ecco perché è importante, da subito, creare una relazione di dialogo e fiducia che porterà sempre buoni risultati.